WHY DON’T YOU JUST DIE! – Beetlejuice

WHY DON’T YOU JUST DIE!

“Voglio che tu uccida un uomo per me”

Il regista russo Kirill Sokolov, che con Why don’t you just die presenta al ToHorror Film Fest 2019 il suo primo lungometraggio come regista e sceneggiatore, parte con riferimenti molto alti: Tarantino, Park Chan-Wook e Sergio Leone. E a conti fatti, stiamo parlando del Tarantino di Le iene e Pulp Fiction, il Park Chan-Wook di Old boy e il Sergio Leone di Il buono, il brutto e il cattivo.

Why don't you just die - Recensione - screenshot 4

Con una partenza del genere, considerando che Sokolov ha ventotto anni ed è russo, quindi inevitabilmente molto lontano dai miti cinematografici a cui si ispira, ci si poteva aspettare tranquillamente un mezzo disastro. Qualcosa di magari anche formalmente ammirevole, ma con tutti gli errori e le ingenuità che un’opera prima così ambiziosa poteva portare con sé. E invece Why don’t you just die è un piccolo gioiellino di cattiveria che tiene botta dall’inizio alla fine e diverte in modo sorprendente. Un bellissimo gioco crimesplatter, un one room movie scritto quasi tutto alla perfezione, con un meccanismo a orologeria che non si inceppa mai e che ci consegna un finale che ha persino una sua morale.

Why don't you just die - Recensione - screenshot 3

I protagonisti assoluti di questo Luna Park sanguinario sono due: i personaggi e l’azione. Partiamo da quello meno ovvio: l’azione. I riferimenti di cui si parlava all’inizio non sono poi veramente così presenti, perché la violenza più che tarantiniana è quasi sempre un tripudio di action grondante sangue. Una violenza esagerata, coreografata e stilizzata così tanto, da essere molto più vicina a quella di Grattachecca e Fichetto che non alla violenza da film poliziesco. E riesce a rendere una stanza di venti metri quadrati, un palcoscenico incredibilmente movimentato, sopratutto nella prima parte del film. E sarebbe sbagliato vedere queste scene (una su tutte quella da applausi del lancio del televisore) come un semplice esercizio di stile. La voglia del regista di dire “Guarda come sono bravo con la MdP” indubbiamente c’è, ma non è solo questo. Il Luna Park ha bisogno di luci esagerate, discese velocissime e botti assordanti, ma mentre i personaggi sparano, si menano, trapanano gambe e spaccano muri con la testa, la storia va avanti, ci fa appassionare ai personaggi e diventiamo sempre più curiosi di vedere cosa c’è sotto e come diavolo andrà a finire.

Why don't you just die - Recensione - screenshot 1

E sì, ecco, poi ci sono loro: i personaggi. In fondo in Why don’t you just die potremmo essere tranquillamente nella platea di un teatro a guardarli entrare in scena uno dopo l’altro (non a caso il film stesso è diviso in tre atti, intitolato ognuno con il nome del personaggio che andremo a conoscere). Matvey, il ragazzo col martello, è probabilmente quello a cui gran parte del pubblico si affezionerà più velocemente, un po’ perché è in definitiva il “buono” della vicenda, ma più che altro direi per una questione aritmetica di numero di mazzate ricevute. Ma anche gli altri personaggi sono tutti ugualmente interessanti, divertenti e ben tratteggiati. Andrey, il peggior padre del mondo, Tasha, la madre remissiva ai limiti del ritardo mentale, Olya, la figlia seducente e ingannatrice e Yevgenich, il collega poliziotto corrotto per una “buona” causa.

Why don't you just die - Recensione - screenshot 2

La storia su cui si regge la pellicola si difende piuttosto bene, anche se non fa scintille (e in un film come questo, nemmeno ce n’è veramente bisogno). Non stiamo cioè parlando di un intreccio da thriller, ma di qualcosa più vicino al noir, quasi un pretesto per far agire e agitare i personaggi in questo contesto ai limiti dell’assurdo. Ciò nonostante la narrazione è molto ben gestita, a partire dalle scene iniziali, quando il ragazzo col martello entra in casa e le sue motivazioni si fanno chiare fotogramma dopo fotogramma e dialogo dopo dialogo, oppure nel flashback con l’indagine sulla ragazza fatta a pezzi (l’unico momento in cui la MdP esce dalla stanza). E poi ci sono quei dettagli curatissimi che in ogni pellicola, sopratutto quelle piccole e stilose come Why don’t you just die, fanno la differenza. Il mini-tutorial su come aprire un paio di manette, girato benissimo e con il divertentissimo twist finale, il padre che tira fuori il salame dal frigo e lo sgranocchia come Bugs Bunny con la sua carota (e lo picchietta in testa alla moglie), i due poliziotti che disquisiscono sulla testa mozzata, il biglietto lasciato dalla madre in bianco.

Insomma, un film che non può essere certo considerato cinematografia impegnata e che non è nemmeno adatto a tutti i palati, ma che una volta letta nel modo giusto la violenza di cui è impregnato risulterà un vero spasso per voi e i vostri popcorn.

Un mirabolante e divertentissimo giocattolo di violenza così estrema da essere innocua, che strizza l’occhio a registi come Tarantino e Sergio Leone

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