THE SILENCE – Beetlejuice

THE SILENCE

“Quegli esseri non ci vedono
possono solo sentire.
Papà, io sono in grado di vivere in silenzio.
Tutti noi lo siamo”

Forse mi sbaglio e rischio pure di passare per uno di quei critici bacchettoni con gli occhiali e la pipa, ma a me sembra che Netflix si sia dato come missione quella di saturare la categoria che chiameremo “Film con un buon budget e un buon cast che per uscire così terribilmente brutti ci è voluto impegno” ovvero, sinteticamente, “Porcherie”.

Non c’è dubbio che The Silence paghi il prezzo di uscire dopo A quiet place con un soggetto praticamente identico, compresi figlia non udente e famiglia che conosce la lingua dei segni. E a sua difesa va detto che il film è stato messo in produzione l’anno prima del film di Krasinksy e che si basa su un libro di Tim Lebbons che risale addirittura al 2015. Ma si sa, le idee sono nell’aria, e il primo che arriva in sala ha il vantaggio dell’apparente originalità (anche se, diciamocelo, quando nei paraggi ci sono mostri pronti a farti la pelle, un po’ in tutti i film si tende a stare in silenzio, anche se il mostro ci vede benissimo). La verità però è che anche se The Silence fosse uscito dieci anni prima di A quiet place, sarebbe rimasto comunque una porcheria.

The silence | Recensione film | Screenshot 1

Ve lo giuro, è da due giorni che mi sto scervellando per cercare di trovare una sola qualità positiva a The Silence, ma proprio non mi viene. Escludiamo innanzitutto che possa essere Kiernan Shipka, l’attrice che interpreta Sabrina nella recente serie TV di Netflix, che è molto meno cagna di quanto senta dire in giro, ma che no, non è la qualità che può salvare il film. Forse Miranda Otto, l’affascinante Eowyn de Il signore degli Anelli e oggi un po’ meno affascinante zia di Sabrina sempre della sopraccitata serie TV di Netflix? No, nemmeno lei. Beh allora facile, sarà Stanley Tucci, l’ottimo Stanley Tucci, lo Stanley Tucci di Spotlight e Easy girl con la sua irresistibile pelata e la sua aria da papà e professore di matematica? Macché, mi spiace Stanley.

The silence | Recensione film | Screenshot 2

Cos’altro allora? La regia? No. La sceneggiatura? No no. La colonna sonora? Quale colonna sonora? Gli effetti speciali? Naaaa. Anche se, io lo so, qualcuno che ha il cervello fritto da tutto il filmume horror anni ’80 ha guardato gli uccellacci malefici con un po’ di nostalgia. In A quiet place le creature uscivano allo scoperto molto tardi ed erano veramente raccapriccianti e letali. Qui siamo invece più nei territori del mostro orribile ma inconsapevolmente buffo, da B-movie, e la cosa non può non far ripensare ai monster movie di Joe Dante e compagnia briscola. Ecco, una carta che io avrei giurato The silence si sarebbe giocato, era l’azione. L’azione horror. Insomma A quiet place è un piccolo gioiello, con una grande atmosfera, ma sono sicurissimo che agli spettatori più scalmanati sarebbe piaciuto vedere meno digressioni famigliari e più carneficina. Arrivando un’anno dopo, a giudicare anche dalla locandina con in bella mostra le creature alate, ero praticamente certo che avrebbe accontentato questa fetta di pubblico, quella potremmo definire “Coloro che impazziscono per Aliens e si addormentano su Alien”. E invece no, di azione vera non se ne vede nemmeno a piangere.

The silence | Recensione film | Screenshot 3

Gli orridi uccelli sono in campo fin da subito, li vediamo in ogni minimo dettaglio, da lontano, da vicino, in televisione, dalla finestra, dal finestrino, ma ogni scena che potrebbe diventare un tripudio action rimane sempre lì, spompata come un palloncino sgonfio. Le poche scene degli attacchi delle creature alle persone sono confuse e spuntate, senza mai un po’ di orrore, brivido, raccapriccio. Questo potrebbe essere un problema di incapacità registica, ma sono più convinto che sia la solita devastante normalizzazione da PG-13, che si diffonde peggio del T-virus e che renderà pian piano tutti i film di genere indistinguibili da un film dark della Disney.
“Mi raccomando ragazzi, tutto fuori campo, gli spettatori non devono vedere niente di niente, chiaro? Ci saranno i rumori a spiegare tutto! Non troppi comunque, non esagerate neanche con quelli. Come non potete farlo fuori campo? Maledizione, allora fatelo al buio e soprattutto niente sangue, non voglio vedere una goccia di sangue! Che poi la gente si impressiona! Signore, ma qui abbiamo una vecchia pazza in giardino che viene attaccata da uno stormo di creature alate assassine, come facciamo a non far vedere niente? Mmm… fatemi pensare… C’è un buco, una crepa, una voragine da quelle parti? Ci sarebbe un pozzo, Signore! Perfetto ragazzi, fate dare due beccate alla vecchia e poi giù nel pozzo! E niente sangue che esce dal pozzo per la miseria! Vi concedo al massimo un piede! Un piede, Signore? Sì, un piede, non più di uno! Ciak, motore, azione!”.

The silence | Recensione film | Screenshot 4

Ma quello che scava la fossa a The Silence è ovviamente come sempre la sceneggiatura. Io sono un maniaco dei film scritti bene, perché per me il cinema è il focolare di fronte al quale perdermi nel racconto di una grande storia, ma sono anche un maniaco dei film di genere e questo fa di me una persona estremamente tollerante con i film che sacrificano la sceneggiatura a beneficio delle specificità di genere. Il fatto è che The Silence non prende nemmeno questa posizione. Se non è l’horroraccio splatter da cui non ti aspetti altro che braccia mozzate e teste che volano, ma vuole essere un film un po’ più complesso, che si prende i suoi tempi per raccontarci della protagonista non udente e della straordinaria unione della sua famiglia, che ci racconta del loro difficile viaggio fino a giungere in salvo e fondare una nuova umanità in grado di sopravvivere in silenzio, allora tutta questa bellissima cosa va scritta con cura. Non basta mettere quattro adolescenti mentecatti a fare le boccacce alle spalle di Ally per raccontarci che ha delle difficoltà di inserimento (non basta e oltretutto è una scena che suona terribilmente falsa). Non basta che ci dicano che non senta e che le parlino con il linguaggio dei segni se la cosa poi non ha sostanzialmente nessuna influenza sulla storia (nemmeno a livello emotivo). Non basta far vedere le persone in metropolitana che sbattono fuori dal vagone una madre col suo bambino che piange, per farci rabbrividire pensando a cosa può diventare l’essere umano per garantirsi la sopravvivenza.

The silence | Recensione film | Screenshot 5

Tutte cose che potrebbero bastare eccome, se fossimo in film con i Gremlins, i Critters, i Ghoulis o in tutti gli altri minimonster-movie di qualsiasi annata, dove le parole d’ordine sono però ironia, divertimento e soprattutto pubblico di ragazzini (anche, ovviamente, quelli già cresciuti). The Silence questo registro non lo contempla minimamente e si prende fin da subito estremamente sul serio, dimenticandosi di fare lo stesso con la sceneggiatura. Il chiodo sulla bara della pellicola è la comparsa del Gregge dei Quieti, il più improbabile gruppo di red neck della storia degli horror rurali e post-apocalittici. Manco il tempo che si spengano le WiFi del Paese, che questo prete fuori di testa ha già organizzato il suo bel gruppetto da Albero degli Zoccoli, gli ha dato un nome che levati, li ha convinti a farsi amputare la lingua, tanto di questi tempi che te ne fai?, e ha dato loro una missione inequivocabile: trovare una ragazza fertile. Perché? Boh, non si sa. Forse al cineforum del paese hanno passato troppe volte The Handmaid’s Tale, vai a sapere. L’attacco notturno con la bambina imbottita di cellulari è il classico tuffo nell’abisso del ridicolo involontario. E a me in quel momento è venuto davvero da piangere per Stanley Tucci.

The silence | Recensione film | Screenshot 6

Un’ultima nota di demerito, tanto ormai che ci siamo, è la solita, sciatta e sciagurata localizzazione dei sottotitoli di Netflix: le creature in originale vengono chiamate “vesps”, termine che non esiste in inglese ma deriva dallo spagnolo “avispa”, vespa. Nell’italiano dei sottotitoli il termine è tradotto come “i vispi”. Non appena smettete di ridere, scrivete pure a Netflix che se serve una mano a tradurre, gliela do io gratis. Ecco, però tutto questo lungo sproloquio per un film che non meritava due righe, forse un senso ce l’ha. Ho trovato la qualità che lo salva. The silence dura un’ora e trenta minuti, titoli di testa e di coda compresi, quindi un’ora e venti scarsa. Non è molto, è tutto quello che ho, ma in effetti è così corto che si fa in tempo a vedere immediatamente un altro film, fosse anche l’ultimo di Pieraccioni.

Un horror con lo stesso soggetto del fortunato “A quiet place” che riesce nell’impresa di far male praticamente tutto.

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